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“Come Cristo comanda” in scena al Teatro 7

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Un messaggio antico ed attuale è quello contenuto nello spettacolo proposto al Teatro 7 fino al 24 marzo. Ad interpretare questo lavoro di grande successo, Michele La Ginestra ed Alessandro Salvatori per la regia di Roberto Marafante. Con loro sul palco, anche Ilaria Nestovito

Possiede un punto prospettico personale ed una forte nota intimista questa commedia che racconta l’evento storico per eccellenza, la morte e la resurrezione di Cristo, pur affidando la narrazione ai due personaggi di Cassio e di Stefano, il centurione ed il legionario che la storia vuole sul Golgota ai piedi della Croce e poi di guardia al Sepolcro.

Il fatto che “Come Cristo Comanda” di Michele La Ginestra, al Teatro 7 fino al 24 marzo, ad anni di distanza dal debutto venga ancora proposto registrando il tutto esaurito, al punto da dover infarcire alcune date con rappresentazioni pomeridiane aggiunte, vuol dire che il testo funziona perfettamente sia per la tematica presentata che per l’angolatura scelta per raccontarla.

E forse, il successo manifesta anche un bisogno generale di poter godere di una proposta nuova capace di scardinare meccanismi collaudati, di rompere gli argini e di stimolare una riflessione sincera e decisa.

Come sovente accade, Michele La Ginestra si concentra su una tessitura varia. In questo caso, infatti, si può ridere e vedere il lato farsesco del chiacchiericcio fra i soldati, ci si può sorprendere nel ritrovarsi a sorridere empaticamente delle paure dei due individui riconoscendole come nostre, ci si può commuovere per quell’accurato discorso musicale  che racconta, in una sequenza di note prive parole, il processo di conversione dell’uomo.

Ma in un lavoro tanto armonico e corale i livelli si confondono, si intrecciano e travasano come un unicum dagli attori agli spettatori. La goliardia inziale, gradassa e sbruffona, salta di livello fino nascondersi in un gioco di dissolvenze dietro il sentimento più colloso ed intimo del turbamento, dello scompiglio interiore che anticipa la pace ritrovata, la serenità che trascende il contingente.

In questo nuovo allestimento Michele La Ginestra indossa la tunica ed il mantello di Cassio, mentre il ruolo di Stefano è affidato ad Alessandro Salvatori. I due si trovano di notte in un campo di fortuna nel deserto, soli e spaesati. Si trascinano dietro una bisaccia con pane azzimo condito solo con uno spesso strato di paura: l’unica cosa certa è che i due siano in fuga, anche se non si sa bene da cosa.

Cassio e Stefano provano a confondere l’angoscia che li attanaglia distraendosi e ricordando la fragranza del pane rusticus, il  sapore di casa con quel misto di bollito di gallina, aglio e cipolla, la nostalgia per le donne romane, l’incapacità di intendersi con le bestie giudie prive del necessario piglio imperiale.

Si capisce però che il non-detto è una presenza scomoda, difficile da gestire fino in fondo.

Siamo nel 33 d.C., in Palestina, ed è dunque è abbastanza semplice intuire a quale evento possa essere legato il mistero che i due soldati si portano dietro come un fardello scomodo.

Ma chi sono questi uomini in fuga? Cassio, è il centurione alla guida dei legionari al momento della crocifissione di Gesù sul Golgota e che ha colpito con una lancia il costato del condannato. Ed è sempre lui, quello che ha voluto dire ad alta voce che Gesù è davvero il figlio di Dio, mettendosi in contrasto con i Sommi Sacerdoti e, di fatto, condannandosi a morte certa.  Stefano è un suo subalterno, quello che ha dato da bere a Cristo acqua e aceto. Perché lo ha fatto? Cosa lo ha spinto al gesto di pietà? Lui è un uomo semplice, non maneggia bene le parole, le confonde, ci inciampa sopra, e soprattutto si sforza di mistificare la realtà di cui è stato testimone per riagguantare la linearità di una vita che invece gli sta sfuggendo di mano.

Certo è che al di là della qualità del testo, dalla bellezza della musica e dalla profondità dell’argomentazione, uno spettacolo vive attraverso la personale versione che ne restituiscono gli attori. E qui possiamo dire che “Come Cristo comanda” vince a mani basse essendo interpretato da un artista versatile come Michele La Ginestra, capace di fluire dal brillante al drammatico con una naturale eleganza. La sua visione del teatro lo porta ad avere una grande attenzione per la cornice generale entro cui muove i passi assieme ai suoi compagni di scena. L’attenzione ai particolari, elaborati con cura minuziosa e raffinata, sono espressione di una professionalità che si alimenta del rispetto per lo spettatore. 

A fargli da sponda, è un bravissimo Alessandro Salvatori che si infila nelle pieghe di un personaggio apparentemente superficiale, ma che è tutto da scoprire: per lui, il ruolo di Stefano è un abito comodo da indossare con agilità e credibilità.

Ilaria Nestovito è una presenza discreta cui è affidato il compito di caratterizzare i  singoli passaggi pur senza interagire direttamente con i protagonisti. Suo è il vocalizzo sottile che accompagna l’acquisizione della consapevolezza da parte di chi recupera un occhio malato per arrivare a raggiungere la vista del cuore e comprendere il significato di quell’“oppure” alla verità accertata.

Asciutta ed incisiva, infine, è la regia di Roberto Marafante il quale racconta attraverso una scenografica desolata, icastica nella sua essenzialità, la storia sacra, lontana ma sempre attuale.  

Il testo avvolge come una coperta calda e confortante la tematica dell’ascolto, della ricerca, del silenzio che si accosta al bisogno di spiritualità.